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Wednesday, May 17, 2017

Attività riservate per gli ingegneri nel campo dell'ICT?


Occorre, innanzitutto, ragionare sul perché esistono le attività riservate?
Spesso, infatti, si pensa agli Ordini professionali solo come istituzioni che hanno il compito di conservare l'albo, dimenticandosi del perché esiste l'albo? Il tutto nasce dal fatto che esistono delle attività lavorative per le quali è bene che chi le esegue sappia il fatto suo e che sia “libero” di applicare secondo coscienza la propria competenza, senza vincolo di subordinazione a terzi che potrebbero avere degli interessi diversi rispetto alla corretta esecuzione dell'attività.
Questa necessità serve a tutelare il cittadino comune, il quale, non avendo le competenze per poter essere autonomo, deve affidarsi ad uno sconosciuto ed ha bisogno di uno strumento semplice per trovare chi sa risolvere il suo problema; per cui il passo logico è:

attività lavorativa complessa → attività riservata ad una specifica tipologia di lavoratore → vincolo di iscrizione di questo lavoratore in un albo in modo che le persone comuni possano individuarlo facilmente.

L'Ordine ha ovviamente anche altri compiti, sempre legati a questo tema, sui quali non mi soffermerò in questo post.

Per cui, banalizzando, se abbiamo bisogno di essere operati al cuore dobbiamo metterci nelle mani di un qualcuno che sappia fare bene quel lavoro, e dato che come persone comuni non sappiamo dove trovarlo possiamo prendere l'albo a mo' di pagine gialle e sappiamo che li troveremo la persona giusta; parimenti sappiamo che quando andiamo nello studio di uno che sostiene di sapere progettare una casa se vediamo che compare nell'albo opportuno sappiamo che abbiamo a che fare con un lavoratore serio e non con un ciarlatano che millanta competenze che non ha.

Di per se il problema che si è voluto risolvere è l'annoso problema di affidarsi ad un lavoratore competente che, di per se, si applicherebbe ad ogni aspetto della vita: a tutti piacerebbe essere sicuri di andare da un fornaio che sa fare un pane buono e non ci mette dentro sostanze nocive, o da un sarto in gamba che non ci faccia un abito che si scuce dopo pochi giorni. Il buon senso del nostro legislatore ha definito una soglia ed ha deciso di lasciare al libero mercato alcune attività di selezione e di imporre delle regole su altre.
Per cui se il pane non è buono non andrò più da quel fornaio e non avrò bisogno di sapere che è iscritto all'albo dei fornai (benchè esistano in ogni caso associazioni anche per questa professione molto importante), ma se vado dal chirurgo sbagliato c'è il rischio che io non abbia la possibilità di poter cambiare la mia scelta dato che la non competenza del lavoratore potrebbe causare la mia prematura dipartita.

Il buon senso del legislatore ha pertanto riconosciuto una serie di attività lavorative per le quali è “proprio opportuno” che a farle ci sia qualcuno di specifico e non il primo venuto.
Analizziamo le caratteristiche di queste attività che:
  • possono generare, se fatte male, un grave danno fisico od economico all'individuo o alla collettività
  • richiedono una assunzione di responsabilità da parte di chi le esegue e devono essere fatte in coscienza e per il meglio, senza che terzi possano influenzare la decisione (quando un medico amputa un arto in gangrena si assume una responsabilità per il bene del paziente e non può dover valutare se l'immagine dell'ospedale potrebbe essere danneggiata perché si potrebbe spargere la voce che “qui si tagliano le gambe”)
  • richiedono un'etica nell'esercizio delle scelte legate all'attività.

Queste caratteristiche, quando sono stati definiti gli elenchi di attività riservate, hanno portato all'individuazione di un “tot” di voci specifiche, che in alcuni casi hanno raggruppato una intera professione (tutto ciò che ha a che fare con la salute) in altri casi, forse perché troppo complessi e pervasivi o perché c'era una concorrenza di tanti soggetti che temevano di non poter più lavorare, sono state scelte solo alcune attività.
Questo è capitato soprattutto nei casi delle attività tecniche, dove, infatti, sono stati individuate solo le attività più evidenti come il costruire strutture e poche altre.
Su questo già delicato meccanismo si sono poi aggiunti i punti di vista ideologici: da una parte chi sostiene che debba essere il mercato a selezionare i competenti (trascurando che il “mercato” è rappresentato da una buon numero di individui che per la natura di questo meccanismo vengono “fregati”, vivono abbastanza per raccontarlo e generare la necessaria retroazione per fare “operare” il filtro), dall'altro chi sostiene che sia giusto lasciare a tutti la possibilità di esercitare il lavoro che vogliono (ignorando il concetto di meritocrazia e della necessità di aver seguito un percorso formativo appropriato al lavoro che si ambisce a fare).
Nel frattempo l'evoluzione della tecnologia ha generato nuovi lavori, spesso altrettanto delicati quanto quelli per i quali si erano definite le attività riservate. Questa evoluzione è stata estremamente veloce, molto più veloce della capacità del legislatore di soffermarsi a valutare se quei nuovi lavori dovessero essere regolamentati.
Questa difficoltà è acuita dal fatto che il “legislatore” è una intelligenza collettiva costituita dagli eletti in parlamento che raramente hanno la competenza per capire questi nuovi lavori e questo ancora prima dell'attuale degrado della politica.

In questo contesto si collocano i problemi del terzo settore dell'ingegneria.

Nessuno fino ad oggi si è preoccupato di valutare se ci sono dei lavori che hanno le caratteristiche per le quali il “legislatore” dovrebbe dire “per tutelare il cittadino comune decido che questo lavoro lo deve fare solo chi ha la preparazione corretta per farlo”.
Perché?
In parte perché, come già detto nella funzione di legislatore manca la “competenza” per assolvere questo compito in autonomia: immaginiamoci i nostri politici a ragionare se il progettare un sistema informativo della Pubblica Amministrazione nel cloud sia una attività che deve essere riservata a una categoria di lavoratori specifica … tristemente mancano ad essi le basi per la completa comprensione delle parole/concetti “progettazione”, “sistema informativo”, ”cloud” e sono molto più concentrati nel mandare tweet, ricomporre correnti e conservare poltrone.
A questo aggiungiamo il fatto che gravitano attorno questo ambiente una pletora di interessi per i quali una parte terza (perché, infatti, il professionista rappresenta una parte terza) finirebbe per essere veramente scomoda.
Come ultimo intoppo, poiché a stalla aperta i buoi sono scappati da tempo, abbiamo un mercato affollato da lavoratori con formazione, competenze e capacità eterogenee, anche perché certi settori dell'ICT sono diventati il lavoro rifugio di tutti quelli che non riuscivano a trovare occupazione per il corso di studi che avevano seguito, con la scusa che a programmare ci riescono anche i bambini (in effetti i bambini sono bravissimi anche a costruire case con i mattoncini). Oggi dire a tutti questi lavoratori “ci eravamo sbagliati, per fare il tuo lavoro occorreva proprio aver studiato certe cose” diventerebbe oggettivamente difficile.

Il fatto è che, purtroppo, esistono delle attività nel terzo settore dell'ingegneria che hanno le caratteristiche di “rischio e potenzialità di danno” per le quali sarebbe meglio garantirsi il fatto che il lavoratore sia qualificato per farle (in un contesto dove sempre più ogni cosa è controllata da un sistema informatico diventa semplice fare un elenco e i recenti fatti di cronaca ne son un chiaro esempio).



Il rimandare l'affrontare il problema non fa che acuire la situazione.
Se ci aspettiamo che il “mercato”, le “corporazioni” o l'autoregolamentazione ci salveranno, ci stiamo illudendo; la società ha sempre avuto bisogno di supporti al vivere civile e all'impedire il manifestarsi di situazioni dove “i furbi e i forti” prevarichino sui più deboli, le attività riservate questo rappresentano, non la difesa di privilegi di pochi, ma la tutela dei molti contro chi ha sempre cercato di vendere le pozioni agli ignoranti ed in un mondo dove la complessità diventa sempre più ampia il numero di “ignoranti” da tutelare diventa, per assurdo, sempre più ampio.

Iniziare a concordare sul fatto che “a fare certi mestieri dovrebbero esserci le persone giuste” è il primo passo per affrontare con serietà il resto del discorso.

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